Un punto fermo sull’annosa questione relativa alla validità delle clausole c.d. claims made. Commento alla sentenza Cass.Civ., Sez.Unite 24.9.2018, n. 22437.

sentenza Cass.Civ., Sez.Unite 24.9.2018, n. 22437

Il Supremo Collegio, partendo dalla considerazione che alcuni recenti provvedimenti legislativi hanno riconosciuto l’esistenza e l’efficacia delle clausole c.d. claims made (art. 11 Legge n. 24 del 2017, c.d. legge Gelli in materia di obbligo di assicurazione delle strutture sanitarie per la responsabilità civile verso terzi; nonché art. 3, comma 5, del D.L. 138/2011 c.d. legge professionale che prevede l’obbligo per l’esercente una libera professione di stipulare “idonea assicurazione” per un periodo di ultrattività della copertura assicurativa), ha ritenuto che il modello claims made sia da ricondurre nell’alveo della tipicità legale e pertanto non necessiti di alcun vaglio di meritevolezza.

La Suprema Corte afferma infatti, in modo assolutamente chiaro, che la claims made consiste in una delimitazione dell’oggetto del contratto, con conseguente esclusione della vessatorietà della clausola, ai sensi dell’art. 1341 c.c., “correlandosi l’insorgenza dell’indennizzo, e specularmente dell’obbligo di manleva, alla combinata ricorrenza della condotta del danneggiante e della richiesta del danneggiato”, concludendo che tale previsione contrattuale rientri nell’ambito delle deroghe convenzionali ammesse dall’art. 1932 c.c..

I Giudici di legittimità hanno poi posto l’attenzione sul fatto che la valutazione della liceità delle claims made, deve essere focalizzata principalmente sulla parte prodromica alla conclusione del contratto (c.d. responsabilità precontrattuale da mancata o insufficiente informazione circa le clausole contrattuali), nonché sull’effettiva adeguatezza del contratto agli interessi in concreto avuti di mira dai contraenti.

In particolare, gli Ermellini ritengono si debba indagare se il contratto possa soddisfare gli interessi concretamente perseguiti dalle parti, e ciò deve avvenire attraverso la lente della c.d. buonafede contrattuale, nonché attraverso la sussistenza di un equilibrio tra rischio assicurato e premio corrisposto.

Il rimedio in caso di mancato rispetto di tale equilibrio deve essere ricercato nell’art. 1419, II° comma c.c., relativo alla nullità parziale delle clausole contrattuali.

Significativo risulta, infine, l’inciso della Corte relativo all’applicabilità del rimedio della nullità parziale rispetto ai contratti stipulati dai professionisti, antecedentemente all’entrata in vigore delle norme in materia di obbligatorietà dell’assicurazione della responsabilità civile professionale, laddove questi non prevedano l’ultrattività (anteriore o postuma) della garanzia.

La sentenza in oggetto, peraltro ben motivata, si spera ponga finalmente un punto fermo alle continue oscillazioni della Giurisprudenza in materia di meritevolezza delle clausole claims made.

I profili relativi alla responsabilità precontrattuale e all’adeguatezza concreta del contratto, oltre a risultare di difficile riscontro probatorio, è verosimile verranno ritenuti marginali dai Tribunali di merito, sempre poco inclini ad approfondire tali themi decidendi.