Nei confronti dell’amministrazione dell’ente datore di lavoro, la responsabilità può essere solo extracontrattuale e mai contrattuale ex art. 2087 c.c.. Conseguenze sotto il profilo dell’onere della prova.

Sentenza Tribunale di Venezia del 9.8.2018

Nella sentenza in commento, resa dal Tribunale di Venezia in data 9.8.2018, in relazione alla richiesta di risarcimento del danno formulata dai congiunti di un lavoratore deceduto per mesotelioma pleurico, a seguito dell’inalazione di polveri di amianto a cui sarebbe stato esposto durante l’attività lavorativa, che gli attori hanno formulato nei confronti degli soli ex amministratori della società datrice di lavoro, per non aver “impedito l’uso dell’amianto da parte della società da loro diretta…trattandosi di lesioni al diritto all’incolumità personale, come il datore di lavoro che risponde a titolo sia contrattuale che aquiliano, rispondono a titolo aquiliano gli amministratori e i direttori generali”, il Giudice ha rigettato la domanda, affermando, sulla scorta di quanto statuito dal Supremo Collegio nella sentenza n.6125/94, che nei confronti dell’amministrazione dell’ente datore di lavoro, la responsabilità può essere solo extracontrattuale e dunque derivare dalla violazione del precetto del neminem laedere sancito dall’art. 2043 c.c., e giammai contrattuale ex art. 2087 c.c..

Partendo da tale postulato, il Tribunale ha evidenziato che gli attori non hanno assolto l’onere probatorio a loro carico, sottolineando che il testimoni hanno dichiarato che il lavoratore era sempre stato impiegato presso lo stabilimento di Fusina, escludendo che avesse mai lavorato a Marghera, come invece affermato dagli attori, ed evidenziando altresì che i testimoni escussi hanno sostanzialmente confermato i capitoli di prova formulati dai convenuti, relativi al fatto che il lavoratore non era mai stato esposto all’amianto.

Dice il Tribunale: “Dall’escussione dei testi è, pertanto, emerso che il (lavoratore ndr) si occupava dello svuotamento delle siviere e del successivo versamento dell’alluminio liquido all’interno dei forni presenti nel reparto fonderia e circa 2-3 volte al mese provvedeva alla pulitura di un forno fisso davanti alla quale era posizionata una lastra di amianto di circa un metro quadro che veniva rimossa e frantumata con un badile. E’ emerso che l’uso dell’amianto presso il reparto di fonderia dello stabilimento di Fusina, luogo in cui è stato accertato svolgere l’attività lavorativa il (lavoratore ndr), era stato eliminato dal 1980 o tra il 1980 e il 1983”, concludendo che non vi è prova che nel periodo in cui il convenuto da noi difeso aveva rivestito l’incarico di direttore generale, l’amianto fosse ancora utilizzato nelle attività cui il lavoratore era adibito presso lo stabilimento di Fusina.

Sulla base di tali attenta ed approfondita disamina di merito della controversia, la domanda è stata rigettata stante il mancato assolvimento dell’onere della prova a carico degli attori.

Un punto fermo sull’annosa questione relativa alla validità delle clausole c.d. claims made. Commento alla sentenza Cass.Civ., Sez.Unite 24.9.2018, n. 22437.

sentenza Cass.Civ., Sez.Unite 24.9.2018, n. 22437

Il Supremo Collegio, partendo dalla considerazione che alcuni recenti provvedimenti legislativi hanno riconosciuto l’esistenza e l’efficacia delle clausole c.d. claims made (art. 11 Legge n. 24 del 2017, c.d. legge Gelli in materia di obbligo di assicurazione delle strutture sanitarie per la responsabilità civile verso terzi; nonché art. 3, comma 5, del D.L. 138/2011 c.d. legge professionale che prevede l’obbligo per l’esercente una libera professione di stipulare “idonea assicurazione” per un periodo di ultrattività della copertura assicurativa), ha ritenuto che il modello claims made sia da ricondurre nell’alveo della tipicità legale e pertanto non necessiti di alcun vaglio di meritevolezza.

La Suprema Corte afferma infatti, in modo assolutamente chiaro, che la claims made consiste in una delimitazione dell’oggetto del contratto, con conseguente esclusione della vessatorietà della clausola, ai sensi dell’art. 1341 c.c., “correlandosi l’insorgenza dell’indennizzo, e specularmente dell’obbligo di manleva, alla combinata ricorrenza della condotta del danneggiante e della richiesta del danneggiato”, concludendo che tale previsione contrattuale rientri nell’ambito delle deroghe convenzionali ammesse dall’art. 1932 c.c..

I Giudici di legittimità hanno poi posto l’attenzione sul fatto che la valutazione della liceità delle claims made, deve essere focalizzata principalmente sulla parte prodromica alla conclusione del contratto (c.d. responsabilità precontrattuale da mancata o insufficiente informazione circa le clausole contrattuali), nonché sull’effettiva adeguatezza del contratto agli interessi in concreto avuti di mira dai contraenti.

In particolare, gli Ermellini ritengono si debba indagare se il contratto possa soddisfare gli interessi concretamente perseguiti dalle parti, e ciò deve avvenire attraverso la lente della c.d. buonafede contrattuale, nonché attraverso la sussistenza di un equilibrio tra rischio assicurato e premio corrisposto.

Il rimedio in caso di mancato rispetto di tale equilibrio deve essere ricercato nell’art. 1419, II° comma c.c., relativo alla nullità parziale delle clausole contrattuali.

Significativo risulta, infine, l’inciso della Corte relativo all’applicabilità del rimedio della nullità parziale rispetto ai contratti stipulati dai professionisti, antecedentemente all’entrata in vigore delle norme in materia di obbligatorietà dell’assicurazione della responsabilità civile professionale, laddove questi non prevedano l’ultrattività (anteriore o postuma) della garanzia.

La sentenza in oggetto, peraltro ben motivata, si spera ponga finalmente un punto fermo alle continue oscillazioni della Giurisprudenza in materia di meritevolezza delle clausole claims made.

I profili relativi alla responsabilità precontrattuale e all’adeguatezza concreta del contratto, oltre a risultare di difficile riscontro probatorio, è verosimile verranno ritenuti marginali dai Tribunali di merito, sempre poco inclini ad approfondire tali themi decidendi.